1.1 La prospettiva dualista dalle ragioni di un materialista
La materia pensante si considera come un paradosso. [...] Che la materia pensi, è un fatto. Un fatto, perché noi pensiamo; e noi non sappiamo, non conosciamo di essere, non possiamo conoscere, concepire, altro che materia. (Giacomo Leopardi, 18 Settembre 1827, Lo Zibaldone pag. 895)

Come è possibile che dalla res extensa (the body)  possa emergere la res cogitans? (the mind stuff)
Come è possibile che la ineffabile e immateriale res cogitans possa influenzare e controllare la tangibile e materiale res extensa?
Come può un qualcosa essere determinato da una causa che ad essa è totalmente altra?
Nella sua prospettiva materialista Dennett postula ciò che per un materialista è un dato di fatto autoevidente: tutto ciò che "muove" un oggetto fisico deve essere necessariamente qualcosa di fisico.

A fundamental principle of physics is that any change in the trajectory of any physical entity is an acceleration requiring the expenditure of energy [...]  It is this principle of the conservation of energy that accounts for the physical impossibility of 'perpetual motion machines,' and the same principle is apparently violated by dualism.  (Dennett 1991, pag.35)

Se gli occasionalisti del 600 risposero all'identico quesito sostenendo che tra le due realtà (fisica e mentale) non esiste alcun nesso e influenza reciproca e che il motivo della sincronia perfetta tra esse (dal quale traiamo l'illusione di un nesso causa-effetto) sia da ricercare nel continuo intervento divino, Dennett, partendo dal medesimo presupposto, esclude "cause sovrannaturali", siano esse divine o di altra sorta.
Questa inconciliabilità è solubile in un unico modo: negare l'esistenza della res cogitans.
In questo senso Dennett può essere considerato un eliminativista.

[...] About other putative mental entities I am an eliminative materialist.[...] (Dennett 1978, Introduction XX)
[...] Dennett has his eliminativist moments. For example, he favors elimination of the concept of qualia on the grounds that it names nothing. (Flanagan 1993, pag 3)

Il problema quindi diviene per Dennett (come abbiamo accennato nell'introduzione), un problema esclusivamente fisico: l' hard problem, come David Chalmers (1995) lo ha battezzato, non è in Dennett, (come vuole una diffusa concezione) la soluzione e la spiegazione dell'esistenza della res cogitans, del "mentale" inteso come sfera totalmente altra dall'ambito fisico.
La res cogitans intesa in questo senso è infatti un mito.
In quanto mito esso è qualcosa di totalmente antiscientifico e non è casuale,  aggiunge Dennett, che molti dualisti ammettano candidamente di non avere idea alcuna, né la più vaga teoria, di come questa influenza dell'immateriale sul materiale possa aver luogo.

It is surely no accident that the few dualists to avow their views openly have all candidly and comfortably announced that they have no theory whatsoever of how the mind works. (Dennett 1991,  pag.37)

Da dove nasce questa avversione di Dennett per il dualismo? (Non ovviamente l'old fashioned dualism di Cartesio e degli occasionalisti bensì le teorie contemporanee che, in diversi modi, ripropongono la frattura tra materiale e immateriale).
Da dove nasce quindi l'avversione di Dennett per gli emergence theorists? (Da lui definiti cartesian materialists proprio perché riconoscono il postulato materialista ma ripropongono la scissione dualista attribuendo ai processi mentali uno status totalmente altro dalla fisicità)
Perché Dennett definisce come imbarazzanti teorie come il dualismo interazionista, sostenute da scienziati e filosofi di primissimo piano?

[...] Sir John Eccles, the Nobel-laureate neurophysiologist who has scandalized his colleagues for years with his unabashed dualism (Eccles 1953, Popper and Eccles 1977).[...] (Dennett 1995)

Nasce da una semplice constatazione di dati fatto aristotelicamente autoevidenti?
Oppure, parafrasando Felix Le Dantec si potrebbe sostenere che tale avversione nasca semplicemente perché Dennett è materialista, e si è materialisti (come si è idealisti, oppure progressisti o reazionari) senza volerlo.

Sono ateo, come sono bretone, come si è bruno o biondo, senza averlo voluto.  (Le Dantec, 1907)

La citazione di Le Dantec non è peregrina: determinare il perché un filosofo sia, ad esempio, materialista piuttosto che idealista, oppure propenso a determinazioni mistiche piuttosto che esserne avverso, è una impossibilità.
La genesi delle nostre convinzioni, del nostro modo di vedere il mondo (saremo banali) ha un numero sterminato di radici e i fattori in gioco sono enormemente complessi.
Oltre ai fattori culturali (letture, studi, rapporti interpersonali etc etc), che sebbene complessi e innumerevoli possono consentirci un certo grado d'azione, entrano infatti in gioco fattori psicologici ed emotivi prettamente individuali sconosciuti non soltanto all'ermeneuta ma non del tutto chiari al soggetto stesso.

Le motivazioni e le radici del materialismo di Dennett sono quindi potenzialmente sterminate.
Ci soffermeremo su due di esse.

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Dennett deriva la sua critica al dualismo e la sua posizione materialista, per via diretta e particolare, dal lavoro di Gilbert Ryle e in particolare dalle concettualizzazioni espresse nella sua opera The concept of mind (1949)
Il dualismo è sotteso da un errore categoriale che per Ryle sarebbe molto comune: classificare un concetto sotto una categoria a cui non appartiene.
Un esempio, celebre, tratto dall'opera in questione, chiarisce appieno cosa si intenda per errore categoriale.

Un forestiero visita per la prima volta una città universitaria. Gli vengono mostrati biblioteche, aule, musei, laboratori, uffici, alloggi. Allora egli protesta di aver viste, sì, tutte quelle cose, ma non ancora l'Università, il luogo ove lavorano i membri dell'Università.  In un caso come questo, bisognerà spiegare che l'Università non è un qualche istituto aggiunto a quanto egli ha visto, ma il modo in cui quanto egli ha visto è organizzato: null'altro rimane da vedere e da capire.  L'errore stava nell'ingenuo assunto che fosse corretto parlare di tutti quegli istituti e dell'Università, come se questa fosse un membro aggiuntivo nella classe di quelli. Egli metteva l'Università nella stessa categoria cui appartengono i suoi vari istituti. (Ryle, 1949)

Secondo Ryle l'errore di Cartesio fu di considerare res cogitans e res extensa come appartenenti a categorie logico-semantiche distinte.
Ryle battezza il mito dualista, evidenziando la sua deliberata insolenza, come il dogma del fantasma nella macchina. (the ghost in the machine).
Esso, continua, è totalmente insussistente e tale insussistenza deriva appunto da un errore categoriale.

Questa concettualizzazione è di primaria importanza nella filosofia di Dennett e l'influenza di Ryle su Dennett non si limita esclusivamente ai contenuti dell'indagine, ma anche, nella prima fase del suo lavoro, alle metodologie.

[...] I considered myself driven by (indeed defined by) my disagreements with my philosophical mentors, Quine and Ryle[...] (Dennett 1998, pag. 356)

The intermediate ontological position I recommend—I call it "mild realism"—might be viewed as my attempt at a friendly amendment to Ryle's (1949) tantalizing but unpersuasive claims about category mistakes and different senses of "exist".(Dennett 1998, pag. 365)

[...] Something else of mine that owes a debt to Quine and Ryle is my philosophical style.(Dennett 1998, pag 366)

Tutti i miti della filosofia (nei quali il dualismo è appunto da includere) e i suoi grandi e insolubili dilemmi sono per Ryle, memore della scuola analitica, oggetti linguistici e, in quanto tali, affrontabili soltanto attraverso una analisi linguistica.
Questa linguistical stance (come Dennett potrebbe definirla) ha in lui un fortissimo ascendente almeno fino alla stesura di The intentional stance (1987), e, in maniera ancora più vistosa, di Consciousness Explained (1991), quando, l'ambizione empirica della quale abbiamo accennato nella premessa (ambizione espressa nello sviluppo della multilple drafts model) diventerà il suo principale paradigma di lavoro.
In una fase ancora successiva il distacco da Ryle, dalla linguistical stance e da una certa scuola analitica (da Ryle a Wittgenstein ed epigoni), diviene aperta opposizione:

Ryle notoriously claimed to identify “category mistakes” by appeal to the “logic” of existence claims, but let’s face it: that was a bluff. He had no articulated logic of existence terms to back up his claims. In spite of the popularity of such talk, from Ryle and Wittgenstein and a host of imitators, no philosopher has ever articulated “the rules” for the use of any ordinary expression.(Daniel C. Dennett Philosophy as Naive Anthropology: Comment on Bennett and Hacker October 18, 2005 for APA Eastern Division Meeting, December 2005)

Evidenziamo inoltre il fatto che Ryle fu il relatore della tesi di laurea  di Dennett e la sua prima opera Content and Consciousness (1969) non è che la tesi di dottorato rivista e pubblicata.
Il rapporto con Ryle, durante e dopo il soggiorno ad Oxford di Dennett, fu costante e caratterizzato da una profonda ammirazione. (Dennett, a ulteriore prova di ciò, dedicherà alla memoria del suo maestro l'opera Elbow Room: The Varieties of Free Will Worth Wanting (1984))

In Dennett quindi l'errore categoriale di Ryle diviene vero e proprio errore ontologico.
Tutto ciò che esiste è fisico, se la mente e la coscienza esistono sono fenomeni fisici, se non sono fenomeni fisici non esistono.

 [...] we don't need a category of non-physical things in order to account for mentality.(Dennett 1978, Introduction xv)

Why should the brain be the only complex physical object in the universe to have an interface with another realm of being? (Dennett 1998, pag 154)

Contro questo errore ontologico Dennett porta avanti una vera e propria battaglia.
Questa battaglia avrà luogo su più fronti, non ultimo l'attacco a ciò che, in ultima istanza, è la scaturigine primordiale del dualismo, la teologia e la mitologia giudaico-cristiana e la stessa idea di Dio, ridotto in Darwin's dangerous idea (1995) a "mito infantile, qualcosa di totalmente differente da ciò in cui un uomo sano di mente e disincantato dovrebbe credere".

The kindly God who lovingly fashioned each and every one of us ( all creatures great and small) and sprinkled the sky with shining stars for our delight—that God is, like Santa Claus, a myth of childhood, not anything a sane, undeluded adult could literally believe in. That God must either be turned into a symbol for something less concrete or abandoned altogether.(Dennett 1995, pag 18)

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La critica di Dennett al dualismo, per via indiretta e generale, può essere ricercata nel suo contatto diretto con la filosofia analitica, maggiore espressione filosofica della pesante rideterminazione che la concezione di verità ha subito a partire dagli ultimi decenni dell'ottocento e lungo tutto il corso del novecento.
Affrontare in maniera approfondita questa problematica è in questa sede impossibile, ci limitiamo quindi ad accennarne gli aspetti principali.

I fattori che hanno stimolato l'indagine e il radicale ripensamento della concezione di verità sono svariati.
1) In ambito scientifico: la nascita delle geometrie non euclidee prima, la teoria della relatività poi e, in maniera ancora più vistosa, la nascita della logica moderna.
2) In ambito accademico la smodata diffusione delle filosofie di matrice idealista, "vitalista", neohegliana e, in senso generale antipositivista: ovvero quelle filosofie e quelle scuole filosofiche che, per tutto l'arco del novecento, hanno avuto una tanto vistosa quanto antistorica fortuna accademica. (Rafforzata, per alcuni aspetti, proprio dalla polemica che le filosofie analitiche contro esse avevano mosso).
 
Il concepire le singole scienze come sistemi teorici limitati, come strutture logiche e simobolico-linguistiche, il concepire la verità non come qualcosa di assoluto e oggettivo ma come qualcosa di relativo  è  riconducibile in ultima istanza proprio a quella celeberrima negazione del quinto postulato di Euclide dal quale, tramite il pionieristico lavoro di Lobacevskij, avranno modo di esistere le geometrie non euclidee.
Ludovico Geymonat, notevolissimo storico della scienza, ha  visto in questo evento il momento iniziale di una seconda rivoluzione scientifica, momento che trova il suo vertice con la nascita della teoria della relatività che proprio nelle geometrie non euclidee trova i propri strumenti teorici fondanti.

Per quanto concerne la filosofia, e la cultura in generale, si deve considerare quanto questa conquista abbia cambiato il modo di avvicinarsi alla "verità", quanto ne abbia mutato la natura stessa.
Se la geometria e il metodo geometrico, che da oltre due millenni costituiscono l'esempio inconfutabile di verità e certezza assoluta, non sono assolutamente "certe e vere" occorre ripensare dalla radice la nostra concezione di verità, anche e sopratutto matematica.

La crisi dei fondamenti della matematica darà quindi avvio al logicismo, ovvero la soluzione a tale crisi attraverso la giustificazione, la deduzione, la "ricostruzione" della matematica  interamente dalla logica e dai suoi asserti elementari (che in quanto tali posseggono un elevatissimo grado di certezza) e al formalismo, la concezione della matematica non come specchio della realtà, sia essa reale o ideale,  ma come insieme di sistemi assiomatici sviluppati per via ipotetico-deduttiva.
E' il lavoro di logici e matematici come Peano, Frege, Russell e Whitehead, Hilbert che, oltre a dare avvio alla matematica e alla logica moderna, costituirà i presupposti teorici alla vastissima tradizione logico-linguistica del positivismo logico e della filosofia analitica.

I will only mention that I am indebted to Frege's great works and of the writings of my friend Mr Bertrand Russell for much of the stimulation of my thoughts. (Wittgenstein 1918, preface)

Se la peculiarità della filosofia analitica è l'ambizione ad una indagine solidamente fondata sulla certezza logica e matematica  la contrapposizione ad ogni forma di misticismo e "vana poiesi metafisica" è qualcosa che logicamente non può che manifestarsi.
Inizialmente, come in Wittgenstein, questa contrapposizione assume la forma di sospensione del giudizio.

What we cannot speak about we must pass over in silence. (Wittgenstein 1918, prop. 7)

Successivamente si manifesta apertamente, fino a giungere al paradossale opposto: le determinazioni della metafisica non sono proposizioni dotate di senso; sono pseudoproposizioni e lo sviluppo della logica moderna ci permette di rendere manifesta l'illegittimità e la validità dell'intera metafisica.(Carnap)
Se l'attacco alla metafisica da parte di questo tipo di filosofie  è stato spesso eccessivo, nonché cieco al banale dato di fatto che ogni filosofia ha una sua metafisica ed è sempre una metafisica, non è sicuramente stata eccessiva la motivazione di fondo: la vuota, boriosa, magniloquente e vana chiacchiera dei vari spiritualisti, monotriadici attualisti, hegeliani di ripiego, indistinti vitalisti, e idealisti d'accademia.

Il lavoro di Gilbert Ryle (dal quale Dennett, come abbiamo visto, attinge vistosamente) è da includere senza dubbio in questa tradizione (Ryle è pesantemente debitore di Wittgenstein) come si include per via diretta quello di Quine (allievo di Whitehead), nei confronti del quale Dennett più volte dichiara il suo debito.

Il materialismo di Dennett e la sua istanza realista, dal quale deriva il rifiuto del dualismo, sono quindi, per questi aspetti, un'ulteriore espressione della totale avversione della filosofia analitica alle metodologie delle filosofie  idealiste, mistiche e antipositiviste.

[...] we consider our position to be unproblematically "realist'' and materialist [...] .(Dennett 1998, pag.135)
[...] the different grades or kinds of realism.[...] Fodor's industrial strength Realism (he writes it with a capital "R"); Davidson's regular strength realism; my mild realism; Rorty's milder-thanmild irrealism[..] .(Dennett 1998, pag.98)
The intermediate ontological position I recommend—I call it "mild realism"—might be viewed as my attempt at a friendly amendment to Ryle's (1949) tantalizing but unpersuasive claims about category mistakes and different senses of "exist".(Dennett 1998, pag. 365)