1.2 Penso dunque non sono
Se dovessimo definire la posizione di Dennett sulla mente e la coscienza con una sola parola azzarderemo un neologismo: Dennett è un nolipsista.
Se il solipsista crede che non esitano altre menti se non la sua (in casi estremi il solipsista nega l'intero mondo) il nolipsista non è così elitario: crede che neanche la sua mente esista.
Negli istanti immediatamente precedenti alla formulazione del cogito Cartesio deve aver sperimentato un dubbio simile, cogito ergo sum suona infatti come una rassicurazione, una controprova evidente al fatto che tale dubbio non abbia ragione alcuna d'esistere.

Fatto questo scherzoso preambolo si può sostenere che Daniel Dennett non sia per nulla rassicurato e convinto dalla celebre acquisizione cartesiana.
In Dennett penso dunque sono diventa penso dunque ho l'illusione di essere.
L'esistenza non è provata, è provata la sensazione d'esistere.
E' vero: resta comunque il fatto che quella sensazione, quella illusione, è indice dell'esistenza di un qualcosa, se non altro l'illusione stessa. (Non solo: chi si illuderebbe?)

L'intero lavoro di Dennett sulla mente e sulla coscienza è permeato da questa problematica, per alcuni aspetti si può affermare che il suo obiettivo primario sia chiarire e dimostrare la maniera e il modo tramite il quale ognuno di noi sperimenta questa illusione.

Da dove scaturisce questa illusione?
In che modo ha luogo ciò che lui definisce il processo alchemico che consentirebbe ad ogni individuo e al suo inner eye, al suo homunculus, di trasformare la mera informazione in contenuto compreso?

Dennett sostiene che il tutto nasca da due immagini, convinzioni, idola, che tutti tendiamo ad avere.
La prima è l'immagine del passato come miniera per il futuro.
Secondo questo pregiudizio l'obiettivo e la funzione dei cervelli è produrre futuro, il creare anticipazioni e aspettative che guideranno l'organismo e le sue azioni attraverso sentieri capaci di evitare le ingiurie e, nel contempo, di giungere a ciò che per l'organismo stesso è positivo e buono.
La seconda immagine è costituita dalla sensazione della comprensione, il vivido stato emotivo che sottende il momento in cui giungiamo alla cognizione di qualcosa.
(Prima di un certo tempo quel qualcosa non è compreso, successivamente ad un dato momento esso è compreso, la comprensione è totale, vivida, inconfutabile, essa è certa)

La concomitanza di questi due pregiudizi determina la convinzione che esista una entità capace di prevedere e comprendere, un quartier generale, nel quale l'Io, l'Occhio interiore, l'homunculus, organizza in un unicum i dati sensoriali.

First, there is the image of mining the past for the future. The purpose of brains is to "produce future," as the poet Valéry said: to create anticipations and expectations that will guide an organism's actions along the paths that avoid harm and capture good. [...]Second, there is the image of what it feels like to come to understand something: there you are, encountering something somewhat perplexing or indecipherable or at least as yet unknown—something that in one way or another creates the epistemic itch, when finally Aha! I've got it! [...]Put these two good images together, and they tend to spawn the idea of do-it-yourself understanding, an alchemical process in which the individual, the agent (the inner I or inner eye or homunculus or self) transforms mere information into understood content. (Dennett 1998, pag 59-61)

La prima osservazione che ci pare doveroso fare è lampante: se la coscienza come unicum nasce da illusioni e pregiudizi chi ha quelle illusioni? Chi ha quei pregiudizi?
Dennett potrebbe rispondere a questa domanda con un  secco: nessuno!

There is no single, definitive "stream of consciousness," because there is no central Headquarters, no Cartesian Theater where "it all comes together" for the perusal of a Central Meaner. Instead of such a single stream (however wide) there are multiple channels in which specialist circuits try, in parallel pandemoniums, to do their various things, creating Multiple Drafts as they go. Most of these fragmentary drafts of "narrative" play short-lived roles in the modulation of current activity but some get promoted to further functional roles, in swift succession, by the activity of a virtual machine in the brain.  (Dennett 1991, pag. 253-254)

Secondo Dennett una prova clinica di questa "verità", l'inesistenza di unico inner eye, sarebbe costituita dalla Multiple personality disorder (MPD), disturbo della personalità multipla.
Dennett esprime questa ipotesi in un articolo del 1988, Speaking for Our Selves (Dennett 1998)

Tale disturbo è caratterizzato dall'esistenza, all'interno di un individuo, di una personalità principale (dominante e attiva per la maggior parte del tempo) alla quale, più o meno periodicamente, le personalità alternative (alters) si sostituiscono offuscandola totalmente, fino a portarla ad uno stato di incoscienza equiparabile al sonno.
Si determina quindi una situazione nella quale ogni personalità è integrata con il suo comportamento in un suo proprio mondo, costituito anche da relazioni sociali dissimili da quelle instaurate dalle altre personalità.

Questo articolo fu  inizialmente commissionato dal New York review of books ed ebbe notevoli difficoltà ad essere pubblicato per la sequenza di obiezioni editoriali. (La MPD non era universalmente riconosciuta come disturbo)
Dennett descrive il caso clinico di Mary e offre una teoria sulle modalità che hanno determinato in essa la sequenza di dissociazioni.
Tutto sembrerebbe nascere da un trauma legato agli abusi sessuali subiti da Mary in tenera età e perpetrati da suo padre.
Nei morbosi giochi erotici con sua figlia il padre chiamava la bambina "Sandra", e non appunto Mary, questo trauma determina il manifestarsi di una reale entità psichica capace di sostituirla.
Ciò che rende il tutto ancora più notevole è il fatto che anche le personalità alternative possono "sospendersi o essere sospese", sempre secondo lo stesso meccanismo, è proprio dalla serie queste sospensioni che la sequenza di personalità multiple ha modo d'essere.
In casi complessi, come quello di Mary, tali personalità, al fine di organizzare le proprie esistenze parallele, possono giungere addirittura a tenere un diario.
Il medico che seguì Mary, partendo proprio dalla lettura di questo diario, riuscì a forzare, tramite l'ipnosi, l'emersione di una personalità alternativa. (Sally, "gemmazione" della personalità Sandra)

Secondo Dennett la MPD è una prova di quanto ciò che viene definito "Io" sia in realtà  in realtà una "finzione descrittiva", esso non sarebbe nient'altro che il "centro di gravità della narrazione".

Nobody really has a soul-like agency inside them: we just find it useful to imagine the existence of this conscious inner "I" when we try to account for their behavior (and, in our own case, our private stream of consciousness). We might say indeed that the self is rather like the "center of narrative gravity" of a set of biographical events and tendencies; but, as with a center of physical gravity, there's really no such thing (with mass or shape). Let's call this nonrealist picture of the self, the idea of a "fictive-self." (Dennett 1998, pag 39)

Al fine di chiarire ulteriormente ciò che intende Dennett intende con "centro di gravità narrativa", sempre nello stesso articolo, fornisce un ulteriore esempio.
Gli Stati Uniti d'america, a livello di finzione, possono essere lecitamente personificati.
Essi possiedono una storia, delle memorie, dei sentimenti, dei gusti, delle speranza, delle capacità.
Odiano il comunismo, sono tormentati dalla memoria del Vietnam, possiedono notevoli facoltà scientifiche, e via discorrendo.
Ciò significa forse, chiede Dennett, che esista una "entità" capace di centralizzare e "soggettivizzare" realmente tutte queste qualità?
Certamente no.
Essa è una finzione descrittiva, una narrazione.

Consider the United States of America. At the fictive level there is surely nothing wrong with personifying the USA and talking about it (rather like the termite colony) as if it had an inner self. The USA has memories, feelings, likes and dislikes, hopes, talents, and so on. It hates Communism, is haunted by the memory of Vietnam, is scientifically creative, socially clumsy, somewhat given to self-righteousness, rather sentimental. But does that mean (here is the revisionist speaking) there is one central agency inside the USA which embodies all those qualities? Of course not.There is, as it happens, a specific area of the country where much of it comes together. But go to Washington and ask to speak to Mr. American Self, and you'd find there was nobody home: instead you'd find a lot of different agencies (theDefense Department, the Treasury, the courts, the Library of Congress, the National Science Foundation, etc.) operating in relative independence of each other. (Dennett 1998, pag 40)

A nostro avviso quest'ultimo esempio è identico all'esempio offerto da Ryle (1949) del quale abbiamo parlato nel paragrafo precedente (Il forestiero che chiede dove sia l'università dopo aver visitato tutte le sue componenti).
Si potrebbe inoltre evidenziare che chi parla di narrazione e di finzione non  può non presupporre un qualcuno per il quale la narrazione è narrazione e la finzione è finzione.
La nostra domanda potrebbe quindi rimanere invariata: finzione per chi? Narrazione per chi?
E la risposta di Dennett non varierebbe ugualmente:  non esiste un chi  autonomo per il quale si narra qualcosa, quel chi è la narrazione stessa, narrazione e chi coincidono.

La nostra polemica potrebbe proseguire.
La MPD potrebbe infatti essere intesa in un senso diametralmente opposto: in quanto disturbo, in quanto situazione patologica essa è la sospensione di una condizione normale, sana.
In condizioni normali un individuo non sviluppa personalità multiple: ne ha una.
Se questo modo di argomentare fosse lecito si potrebbe infatti dimostrare che gli occhi non servono per vedere, per dimostrarlo sarebbe sufficiente indicare un caso, o più casi, di cecità.

La nostra posizione è quindi del tutto inconciliabile con quanto Dennett sostiene?
Non del tutto.
Sembrerebbe che i presupposti siano infatti i medesimi, ad essere differenti sono le prospettive tramite le quali tali presupposti vengono sviluppati.

Facciamo un esempio: possiamo vedere un'immagine su un monitor come una "immagine" o come la sommatoria di tutti i pixels che la compongono ( e potremmo vederla in altri infiniti modi, secondo infinite stances, come Dennett stesso potrebbe dire).
Per noi quel monitor manderà anzitutto l'immagine di un albero, e noi, prima di tutto, ci vedremo un albero.
La prospettiva di Dennett è opposta:  ciò che noi chiamiamo immagine  è oggettivamente costituito dai pixels che lo compongono, "l'immagine" è una astrazione successiva.

Idem si dica per la coscienza.
Essa è oggettivamente qualcosa di discreto e parallelo, ma tutti noi, prima di tutto, la concepiamo come continua e seriale.
Il punto di vista di Dennett è opposto: essa è anzitutto qualcosa di discreto e parallelo, perché oggettivamente e fisicamente tale, e il punto di partenza dell'analisi scientifica non può che essere questo oggettivo e fisico dato di fatto. (Indipendentemente dalla nostra prima, quand'anche vistosissima, impressione o sensazione)

Tratteremo della Multiple drafts model nel secondo capitolo ma, come già dovrebbe essere chiaro, la nostra convinzione a riguardo è chiara:
Il fatto che la coscienza sia il risultato di una sequenza di processi paralleli (e questo è decisamente plausibile) non implica automaticamente che non sia "una" o che non esista.
Siamo anzi convinti che la coscienza sia una (ed una soltanto) proprio perché emerge da un unica ed irripetibile linea spazio-temporale.
Ogni coscienza, stando proprio alla metafora narrativa di Dennett, è una perché una ed unica è la sua storia, perché è unico il suo sviluppo narrativo.